Partono i bastimenti…

Partono i bastimenti per terre assai lontane…

Solo poche parole di una famosa canzone napoletana a farci immaginare, con quanta tristezza e quanta nostalgia, tante persone s’imbarcavano per un sogno che solo nelle terre d’oltreoceano si sarebbe potuto realizzare.
Siamo intorno alla metà dell’800, quando in Paesi dell’America Latina come il Brasile e l’Argentina vi è una sempre più crescente richiesta di manodopera, sia nelle nascenti industrie che nelle vaste e incolte distese di terra.
Tanti nostri connazionali iniziarono ad intravedere la possibilità di migliorare la condizione di povertà in cui versava l’intera nazione. Il lavoro svolto nei campi al servizio dei pochi proprietari terrieri era duro ed anche mal retribuito. Ma quanto sacrificio sarebbe costato andare in cerca di miglior fortuna!
Già il viaggio rappresentava un primo ostacolo considerate le caratteristiche delle imbarcazioni di allora, non certo paragonabili alle confortevoli moderne navi da crociera, inoltre la scarsa possibilità a permettersi di pagare un biglietto che consentisse di viaggiare in maniera più agevole lascia bene immaginare quali le condizioni della traversata.

Emigranti in viaggio per il Sud America

Quasi mai tutta la famiglia poteva intraprendere questa avventura. Anziani da accudire, bambini ancora troppo piccoli e l’impossibilità a sostenere le spese della lunga traversata erano alcuni tra i motivi che costringevano un solo componente (di solito il capofamiglia) a muoversi verso queste “mete da sogno”.
Con il cuore colmo di speranza, ma con la malinconia stampata su volti dagli occhi arrossati prossimi alle lacrime, trattenute solo dalla dignità e dall’orgoglio che contraddistingue il nostro popolo, si saliva sul ponte di quegli obsoleti piroscafi. I fazzoletti venivano agitati per salutare i pochi parenti ed amici che avevano avuto la possibilità di accompagnare l’avventuriero, altri erano sventolati a salutare simbolicamente una Patria che forse mai più avrebbero rivisto.
Un lungo fischio accompagnato da un enorme sbuffo di vapore segnava l’inizio dell’avventura, per molti senza ritorno.
Quei tristi volti presto scomparivano all’orizzonte dopo essere diventati dei minuscoli puntini, cominciava così l’estenuante viaggio lungo anche più di un mese.
Ben presto ci si rendeva conto di quelle che sarebbero state le difficoltà della traversata: la sistemazione in cuccette, nella parte bassa dell’imbarcazione, e con dei semplici oblò che affacciavano nel corridoio interno, costringendo a salire sul ponte per poter prendere una boccata d’aria qualsiasi fossero le condizioni atmosferiche, non lasciava spazio all’immaginazione.

Un triste saluto per qualche caro appena imbarcato

Trovarsi nel bel mezzo di un oceano e vedersi circondati solo da immense distese d’acqua, soprattutto per chi il mare non l’aveva mai visto prima, provocava un profondo senso di angoscia misto a paura, ma ciò non era niente rispetto allo stato di malessere che lo sballottolio provocato dalle onde creava e dal quale non si poteva rifuggire in alcun modo, se non con la terraferma.
L’avvistamento della terra generava un’incontenibile euforia pensando alla fine di un incubo, ma dopo lo sbarco si doveva prendere coscienza di altre realtà.
Non sempre le mete raggiunte erano “da sogno”, i lavori riservati a questa forza sopraggiunta erano i più duri e spesso capitava di svolgerli anche oltre il dovuto per poter mandare qualche soldo in più alla famiglia.
La sistemazione in alloggi fatiscenti, solitamente lontani dai centri, e la difficoltà a comunicare e farsi comprendere da gente che parlava una lingua sconosciuta, accrescevano il senso di solitudine e nostalgia nei poveri emigranti.
La situazione vide un miglioramento intorno alla fine dell’800, quando il fenomeno emigrazione cominciava ad essere sostenuto ed incentivato dall’Italia, in quanto i proventi da esso prodotti avevano aiutato a ridurre notevolmente il debito pubblico. Gli unici a non essere contenti erano i proprietari terrieri, costretti ad aumentare i salari per l’ormai scarsa manodopera rimasta.
Nuovi orizzonti si aprivano, si cominciava ad emigrare verso altri Paesi del Sud America, ma anche dell’America del Nord, come Canada e Stati Uniti.
Il grosso fazzoletto di stoffa che racchiudeva i pochi effetti personali aveva lasciato posto alla “lussuosa” valigia di cartone.

La lussuosa valigia di cartone…

Le mete non erano ancora come immaginate nel sogno, ma tante cose erano migliorate. La laboriosità, l’impegno e la tenacia del nostro popolo avevano cominciato a dare i primi frutti.
Una sistemazione più dignitosa e una stabilità lavorativa consentirono a molti di farsi raggiungere dalla famiglia. Nacquero così numerose comunità con usi e tradizioni importati dai luoghi di origine, accorciando in questo modo le notevoli distanze con i paesi natii.
Altri più nostalgici, con il successo in tasca, tornarono in Patria colmando quel vuoto lasciato in famiglia e vivendo quella tanto agognata e sudata agiatezza.
Altri ancora, purtroppo, non fecero mai ritorno né diedero più notizie, lasciando la famiglia nello sgomento di un’interminabile attesa.
Dai primi anni del 900, e per quasi mezzo secolo, il flusso migratorio subì una forte riduzione a causa dei due conflitti mondiali e della campagna di colonizzazione in Africa alla quale l’Italia aveva aderito.
Gli anni 50 apportarono un miglioramento nel nostro Paese, ma era ancora troppo presto per far sì che il fenomeno emigrazione scomparisse. Gli effetti devastanti provocati dalle due guerre erano ancora troppo vivi, ci fu quindi una ripresa dell’emigrazione anche se in maniera attenuata e con diverse prospettive.
La grande massa non era più costretta a raggiungere i Paesi d’oltreoceano come nel passato, ma per soddisfare la richiesta di manodopera poteva spostarsi nei vicini Paesi industrializzati d’Europa, anche se come per i pionieri emigranti verso le Americhe, i lavori loro riservati erano sempre i più pesanti e pieni di rischi: basta ricordare i nostri poveri minatori nella tragedia di Marcinelle. 

La tragedia dei minatori a Marcinelle

Gli anni 60 segnarono una svolta decisiva per il fenomeno emigrazione. L’Italia si apprestava a vivere uno dei periodi più fiorenti per la nazione, quello che sarebbe stato il boom economico. Il miglioramento delle condizioni di vita era palpabile, le nascenti industrie e la ricostruzione nel settore edile, impiegarono forza lavoro prima costretta ad espatriare.
Era questa la svolta decisiva che doveva comprendere l’intera nazione, ma non andò proprio così. Tutto ciò si verificò solo in una parte del Paese: il Nord! Benché l’Unità d’Italia fosse stata proclamata già da qualche anno, quella virtuale linea di demarcazione che divide lo stivale in due non era ancora stata cancellata, costringendo una mezza nazione a spostarsi al Nord. Il fenomeno dell’emigrazione era cambiato, non si espatriava più oltre confine, ma quell’incommensurabile vantaggio dell’esprimersi con il proprio dialetto – fortemente diverso di regione in regione – era vanificato. L’italiano era sì la lingua ufficiale della nazione, ma in ogni regione era ancora fortissimo l’uso dell’idioma locale per comunicare.

Oggi le cose sono cambiate, il grado di cultura raggiunto nell’intero Paese permette di comunicare in maniera agevole, ma non sono cambiate le condizioni per il profondo Sud, quella linea di demarcazione è ancora lì. 

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Anche il nostro paese, questa volta inteso come la nostra piccola comunità del Cilento, contribuì ad incrementare il fenomeno emigrazione. Tanti compaesani parteciparono all’esodo verso nuove mete nelle varie epoche storiche. È difficile reperire notizie circa i primi emigranti, ma immaginiamo le difficoltà ancora maggiori ad affrontare tale avventura.
Il porto dal quale imbarcarsi era Napoli e solo per raggiungerlo ci si impiegava qualche giorno a bordo di carretti che trasportavano merci varie. Per gli emigranti di un’epoca più recente qualche ricordo è ancora presente. Quando la persona o la famiglia decideva di partire, tutta la comunità vi si stringeva intorno a mostrare la propria solidarietà per una scelta così coraggiosa ad affrontare questi mondi sconosciuti. La partenza generava sempre una po’ di malinconia in paese: chi perdeva l‘amico, chi il compagno di gioco, chi l’aiuto per il lavoro nei campi…
L’ora della partenza era fissata quasi sempre nella tarda notte o prima dell’alba, i preparativi cominciavano già nei giorni precedenti fino ad arrivare alla sera prima quando si allestiva la casa come per i festeggiamenti di un matrimonio. Le sedie (prestate dai vicini) erano disposte lungo le pareti scarsamente mobiliate delle stanze, al centro uno spazio per qualche ballo al suono dell’organetto abilmente manovrato dal “musicista” del paese, quasi a demonizzare quella partenza e scacciare quelli che potevano essere i cattivi presagi dell’avventura.
Le persone venute a salutare i prossimi emigranti e dare loro qualche prodotto tipico del paese o qualche missiva da consegnare a parenti già emigrati, sedevano composti su quelle sedie, mentre qualcuno passava tra di loro con in mano <na uandiera> un vassoio colmo di dolci e liquori preparati in casa.
Giunta l’ora, dopo tanti abbracci e qualche lacrima versata, si caricavano le poche cose sulla vecchia corriera in partenza o su una delle poche auto presenti in paese per raggiungere il porto di Napoli. Accompagnare gli avventurieri emigranti era anche l’occasione per conoscere la città: una realtà neanche immaginata fino a quel momento. Al rientro in paese, la descrizione delle immense imbarcazioni e degli sfarzi della città suscitava un pizzico di benevola invidia nei curiosi compaesani attenti ad ascoltare.

Parenti che hanno accompagnato un emigrante al porto di Napoli

La curiosità non si fermava solo al racconto degli accompagnatori, ma si attendeva una missiva per apprendere come fosse andato il viaggio e come erano i luoghi raggiunti in questo mondo sconosciuto così distante. Il sopraggiungere di una lettera, dopo qualche mese, rappresentava quasi un evento, era letta da qualcuno dei pochi in paese capace di farlo, alla presenza di parenti e di qualche amico.
La corrispondenza avveniva in maniera lenta a meno di utilizzare la più celere e più costosa “posta via aerea”. Serviva per comunicare anche tra giovani innamorati e forzatamente divisi da tale destino, fino a quando la tirannia del tempo cancellava ogni sentimento oppure uno dei due raggiungeva l’altra metà, non prima di aver formalizzato tale rapporto con un matrimonio per procura.

Una sposa per procura raggiunta appena possibile dallo sposo

L’annuncio del ritorno di un emigrato d’oltreoceano, creava nel paese un festoso movimento, si attendeva trepidante l’arrivo di questo “eroe dei due mondi” per sentirne raccontare le epiche gesta.

Emigranti ritornati in patria

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