Lo sposalizio

Lo sposalizio
Sposalizio! Era questa la parola comunemente usata per definire il suggello del lieto fine di una storia fra innamorati. Matrimonio non era un termine sconosciuto, ma non era utilizzato abitualmente per una forma di soggezione e rispetto verso la casta sociale più elevata, che in quel periodo rappresentava ancora una fascia molto ristretta.
Innamorarsi
Le giovani donne non avevano ancora conquistato la libertà di andare in giro senza essere giudicate, per questo non era semplice trovare l’anima gemella. Per fortuna Cupido era già operoso e non perdeva occasione per scagliare qualcuna delle sue frecce, fosse pure in Chiesa dove i fedeli si ritrovavano per la preghiera, anche se rigorosamente divisi per sesso.
Dichiararsi
Ora che il dardo aveva colpito un obiettivo, si prospettava l’ardua impresa di cogliere l’attimo propizio per mettere al corrente anche la compartecipante, e spesso si era costretti a ricorrere alla “mmasciata”. Individuato un ambasciatore che avesse la possibilità di avvicinare la donzella, lo si incaricava di recarle una missiva o di riferirle il messaggio d’amore, nella migliore delle ipotesi organizzare un incontro. Ecco la “dichiarazione” (le serenate sotto i balconi appartenevano oramai al passato).
Ultimato questo impegnativo passo, con la di lei approvazione, l’amore era sbocciato. Sì, ma non tutti gli ostacoli erano superati, cominciava a questo punto il periodo della clandestinità fino a quando il legame non veniva reso noto alle famiglie, periodo che poteva essere anche relativamente lungo se l’innamorato non era visto di buon occhio, oppure, nei casi estremi, arrivare alla fuitina se fosse mancata del tutto l’approvazione.
Il fidanzamento ufficiale
Arrivati alla consapevolezza che tra i fanciulli c’era qualcosa di più di una semplice infatuazione, si prospettava il “fidanzamento ufficiale”: era giunto il momento di mettere fine a “l’amuri ri nascostu”. Il timido giovane, di sovente anche la sua famiglia, veniva invitato una sera a casa della ragazza per parlare con i genitori. Superato anche questo momento di totale imbarazzo, il più era fatto e la novella coppia avrebbe potuto passeggiare a braccetto per il paese senza più nascondersi, così che il giovane potesse anche recarsi tutte le sere a casa di lei, ma – va da sè – sempre sotto l’occhio vigile di qualche fratellino più piccolo o di qualche anziano parente.
La dote
La famiglia della sposa concordava e quantificava con lo sposo i beni materiali che la figlia portava in dote oltre al corredo. Ma no! Anche quest’usanza apparteneva oramai al passato. La tradizione del corredo però era rimasta. Da quando nasceva la figlia femmina si cominciavano a stipare inta la cascia lenzuola, asciugamani, tovaglie ed altri tessuti, a volte impreziositi e personalizzati con raffinati ricami. Per questo, quando i teneri piccioncini cominciavano ad accarezzare l’idea di spiccare il volo, la famiglia della sposa non si faceva cogliere impreparata.
I preparativi per il matrimonio
Presa la decisione si pensava a fissare una data, non prima però che i promessi sposi, con almeno i loro genitori, fossero andati in municipio ad officiare il rito civile, la prima richiesta. Ora la sposa, accompagnata da qualche consigliera, si poteva recare da una delle sarte del paese ed affidarle l’incarico di confezionare l’abito della cerimonia, tutto in gran segreto poiché già allora lo sposo non doveva assolutamente vederlo prima di quel giorno.
Superata la fase burocratica ed appurato che l’abito fosse stato pronto si poteva stabilire la data, scartando i mesi di maggio (mese delle Madonna) e novembre (mese dei morti) e i giorni martedì e venerdì, poiché si osservava in modo rigorosamente scaramantico il detto:
Né di Veneri né di Marte nun si spusa nun si parte e nun si rai inizio a l’arte.
A questo punto cominciava la fase organizzativa della quale era solita occuparsene la famiglia di lei. Una persona (abitualmente sempre la stessa), veniva incaricata di passare per le case del paese ad annunciare ed invitare a partecipare all’evento, mentre erano direttamente gli sposi a scegliere con accortezza il compare e la commare, i quali sarebbero stati anche il padrino e la madrina di un futuro nascituro, oltre ad accompagnare gli sposi all’altare.
Il liquore si preparava in casa miscelando l’alcool con estratti di vari gusti, Strega, Cherry, Anisette, Alchermes, alla costante presenza dei ragazzini speranzosi di avere qualche boccettina vuota che riempita d’acqua si colorava suscitando le fantasie dei piccoli, che giocavano ad imitare i grandi con l’insipido finto liquore.
La location
Cercare il luogo in cui fare il ricevimento non rappresentava certo un gravoso impegno, bastava avere un paio di stanze della propria casa o di qualche vicino e sgombrarle dei pochi mobili, disponendo a ridosso delle pareti tutte le sedie che c’erano in casa oltre a quelle che tutto il vicinato metteva a disposizione, non prima di averle contrassegnate in qualche modo per non confonderle poi nella restituzione.
Una stanza, preparata per l’occasione, era destinata ad accogliere i regali orgogliosamente sistemati in bella mostra che cominciavano ad arrivare già nei giorni precedenti (la busta era ancora utilizzata al solo scopo di contenere una lettera e per lista s’intendeva univocamente quella della spesa, mai pensando che un giorno ci sarebbe stata anche quella di nozze).
Il giorno fatidico
Il giorno tanto atteso era giunto. La sposa sottobraccio al compare apriva il corteo per recarsi in chiesa, seguiti dalla comare sottobraccio allo sposo. Poco è cambiato nel celebrare la funzione del rito religioso, mentre diversa era l’accoglienza degli sposi all’uscita, ai quali non si lanciava il riso ma confetti e monetine, lancio che ad intermittenza si protraeva per tutto il tempo del corteo, tra gli entusiasti ragazzini in competizione per accaparrarsele.
I festeggiamenti
Arrivati a destinazione qualcuno di famiglia e qualche amico più stretto era chiamato a fungere da cameriere passando tra gli invitati con delle guandiere piene di pandolci e mostaccioli insieme a caramelle, cioccolatini, confetti e altri dolci e, a seguire, altri vassoi con i bicchierini dei variopinti liquori preparati.Il rinfresco si concludeva con il giro tra gli invitati dello sposo il quale reggeva una grande bomboniera piena di vainiglie, al suo fianco la sposa vi attingeva con un cucchiaio offrendole ad ognuno degli ospiti. Cinque dovevano essere i confetti offerti! Sempre per le consuete tradizioni, il numero dispari era utilizzato perché indivisibile come si auspicava fosse il matrimonio e perché rappresentava: felicità, ricchezza, longevità, salute e fertilità.
Se il rinfresco in qualche modo era giunto all’epilogo, non lo erano di certo i festeggiamenti che continuavano fino a tarda notte con euforici balli e canti, coinvolgendo anche gli sposi che, aperte le danze, andavano a cambiarsi per continuare i festeggiamenti con il secondo abito delle nozze.
L’ultimo atto era il fangotto, una specie di cartoccio contenente la stessa varietà di dolci di un vassoio al rinfresco, preparato dalla famiglia organizzatrice nei giorni successivi e fatto recapitare alle famiglie del paese, mai però dai novelli sposi che per tradizione rimanevano per alcuni giorni in casa o raramente in “viaggio di nozze” se potevano permetterselo.
Aurii e figli masculi
Era questa la frase più ricorrente per salutare e porgere gli auguri agli sposi e si può immaginare anche il perché viste le energie assorbite da una figlia femmina!