La vendemmia

La vendemmia

Settembre, andiamo. È tempo di “vendemmiare”! Non è proprio così l’inizio della bellissima poesia che descrive la transumanza nelle splendide terre d’Abruzzo che, però, si può adattare a una delle più affascinanti attività che si svolge nel periodo autunnale: la vendemmia.

La raccolta dei grappoli d’oro, oramai maturi, può avvenire anche nel mese di settembre, ma 50 – 60 anni or sono, quando ancora i mutamenti climatici non avevano influito sul surriscaldamento globale del pianeta e di conseguenza la maturazione avveniva molto più tardi, per la vendemmia si aspettava almeno la metà di ottobre.

Contadini

Pietro, ammira soddisfatto il frutto del suo lavoro ed è contento di mostrarlo alla sorella Amelia, emigrata in Argentina e tornata per una visita dopo quasi 30 anni

L’impegno e la dedizione per curare un vigneto sono da sempre caratteristiche indispensabili, oltre alla capacità tecnica, oggi acquisita ed affinata con studi settoriali specifici. Una volta, però, si ascoltava solo ciò che tramandavano gli esperti anziani.

La potatura è tra le azioni più complesse e delicate che pregiudica la riuscita di un buon raccolto, ed è per questo eseguita solo da mani esperte. Si comincia col potare le viti nel mese di febbraio, si prosegue poi con la zappatura, passando con macchine agricole tra i filari accuratamente impiantati con progetti che prevedono anche questa necessità, che in tempi più remoti veniva fatta a mano.

 

Zio Antonio

Francesco Antonio, un contadino vitivinicolo dell’epoca con navigata esperienza, colto in un momento di rilassamento

Zappare la vigna nei nostri paesi, benché rappresentasse un’attività molto faticosa, era anche un momento di aggregazione. Quasi tutti i contadini erano proprietari di modesti appezzamenti e usavano aggregarsi a turno nei vari vigneti per svolgere questo lavoro: la cosiddetta “iurnata rénnita[1].

L’oneroso compito non era però ancora terminato, il passo successivo erano i tre o quattro trattamenti con verderame, calce e zolfo, dal momento in cui le gemme lasciavano il posto alle tenere foglioline e fino a quando i grappoli erano quasi maturi, per evitare che parassiti come la fillossera potessero attaccarli. Poi c’era la “spalagratura” (scacchiatura) o, come la definiscono i moderni agronomi, potatura verde, con la quale si asportano tutti i germogli non produttivi in modo da riservare le energie a quelli fruttuosi e far crescere la chioma in maniera più ariosa, dando la possibilità agli antiparassitari e, soprattutto al sole, di raggiungere ogni grappolo.

Superato questo oneroso compito, si aspettava che quegli acerbi grappoli diventassero profumati e zuccherosi, affidandosi alla buona sorte e scongiurando avversità, in particolar modo quelle atmosferiche, che avrebbero distrutto il raccolto. Non esistevano reti antigrandine o altre protezioni varie.

Forbici

Le forbici usate sia per la potatura delle viti, sia per recidere i tralci nel vendemmiare

La vendemmia! Ecco arrivato il momento tanto atteso, percepito come un festoso rituale da tutta la famiglia, grandi e piccini. Già dall’alba erano tutti pronti ad affrontare questa piacevole giornata, il capofamiglia ricordava di non dimenticare le forbici  per tagliare i grappoli e il “panaro” ove riporli, mostrando con fierezza le sue storiche forbici con le quali aveva potato le viti, dopodiché tutti insieme si partiva, a meno della mamma o della nonna che rimanevano a casa per preparare il pranzo, poi solitamente messo nel “cuofino,” un grosso cesto intrecciato con le canne e portato sulla testa fino alla vigna, per la gioia degli affamati lavoratori.

l tiepido clima ottobrino, la famiglia riunita e la vista di quelle bacche vellutate a volte nascoste tra le foglie che avevano assunto un caldo colore dalle sfumature rossastre, procuravano nell’animo di ognuno un senso di contentezza, oltre alla sensazione di appagamento del capofamiglia che apprezzava il frutto del lungo lavoro svolto.

Famiglia Di Siervi

Antonio Di Siervi, mostra soddisfatto il raccolto insieme ai parenti

Era sovente che al gruppo si aggregasse qualche parente, magari fino a quel momento non molto presente, per dare un aiuto e forse anche per godere di quel clima gaudente, facendo inevitabilmente pronunciare in maniera scherzosa, e tra le risate generali di tutti i compartecipanti, il detto:

Quanna zappi e quanna puti né cumpari e né niputi, quanna è tiempu ri vignignari tutti niputi e tutti cumpari

(Quando zappi e quando poti né compari né nipoti, quando è tempo di vendemmiare tutti nipoti e tutti compari).

Le pennule r’uva” dai cesti pieni di ognuno venivano adagiate su grossi teli e poi pressate nei “varilacchi” barili di legno sapientemente preparati nei giorni precedenti,

Franco e il suo papà

Franco, un ragazzino fiero di aiutare il suo papà Mario nella vendemmia, oggi diventato un esperto viticoltore produttore di ottimo vino

trasportati con l’indispensabile e instancabile asino e poi svuotati nel tino, anch’esso come i barili, accuratamente “sturzato[2]” e rimasto in cantina ad attendere di essere riempito con questo prezioso carico.

Pigiatrice

Una vecchia macchina pigiatrice

Finita la vendemmia, al rientro, ai ragazzi che erano solitamente meno stanchi e più baldanzosi, spettava il compito di entrare nel tino a piedi scalzi per pigiare l’uva raccolta, dopo essersi sottoposti al rituale simile a quello del giovedì santo. Cominciavano ad improvvisare una sorta di danza dapprima in maniera sobria e poi più scatenata man mano che le piacevoli esalazioni cominciavano a produrre euforici effetti, sempre sotto lo sguardo vigile dell’anziano esperto, soddisfatto e fiero nel vedere che il grosso del lavoro oramai era fatto.

Coperto il tino si lasciava ribollire quella massa di raspi insieme al mosto per circa una settimana, dopodiché si spillava il mosto mettendolo nelle botti o nelle damigiane per poi essere travasato di tanto in tanto, mentre dal tino si raccoglieva la vinaccia per la torchiatura.

A questo punto l’euforia della vendemmia cominciava a lasciare il posto ad un’altra piacevole sensazione maestosamente descritta nella citazione dei versi

ma per le vie del borgo / dal ribollir dei tini / va l’aspro odor dei vini / l’animi a rallegrar

questa volta scomodati in maniera del tutto appropriata.

Il processo si poteva dire concluso, non c’era altro da fare se non aspettare che quel succo d’uva diventasse Nettare di Bacco. E come fare per capirlo? Semplice, con un altro detto a corredo di quella saggezza popolare:

A San Martino ogni mosto è diventato vino

Si ringrazia Fabrizio Di Siervi per aver gentilmente concesso due foto che ritraggono suoi familiari impegnati nella vendemmia di qualche tempo fa.

[1] iurnata rénnita (letteralmente giornata resa). Un giorno vengo io a lavorare da te e un altro mi rendi il favore venendo a lavorare tu da me
[2] sturzatura (sigillatura), consisteva nel bagnare l’oggetto per qualche giorno in modo che le doghe di legno si gonfiassero e aderissero perfettamente tra di loro, in modo da non permettere la fuoriuscita dei liquidi contenuti, in breve, ottenimento di un contenitore a tenuta stagna.

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