Ci mettiamo che ci mettiamo…

Le strade che portano in montagna un tempo erano solo delle mulattiere e quando si abbatteva un castagno a colpi d’ascia, dopo si doveva ridurlo in tronchi per poi ricavarne le assi da trasportare con i muli fino in paese, dove si accatastavano per farle stagionare e fornirle alle falegnamerie. I tronchi erano abbastanza grandi e non potevano essere trasportati se non prima di essere “affettati“. Questo lavoro veniva svolto con una grossa sega a telaio manovrata da due persone, questi erano i “segantini“, che una volta sistemato il tronco cominciavano ad affettarlo. A dire il vero era abbastanza faticoso, considerando anche le energie spese per inerpicarsi a piedi fino a raggiungere il luogo di lavoro.
Si racconta che una coppia molto affiatata di segantini partì una mattina di buon’ora, per svolgere la giornata di lavoro. Dopo due ore circa di cammino, arrivati sul posto uno dei due si rivolse all’altro dicendo:
rispose l’altro:
Dopo essersi rifocillati lo stesso esclamò:
e l’altro:
.
Il riposino si protrasse circa fino a ora di pranzo, e svegliandosi il primo:
,
stropicciandosi il collega rispose :
e così comodamente fecero. Finito di pranzare, con calma proverbiale uno dei due propose:
detto fatto. Dopo qualche ora, afferrando la catenella fissata all’orologio nel taschino della giacca, uno dei due, si accorse che il riposino si era protratto un po’ oltre, al che
e si poteva mai dissentire su una proposta così interessante?
Perciò con la benevola approvazione del collega, raccolsero i ferri del mestiere e si avviarono a percorrere la discesa che li portava in paese verso le loro case, a godersi il meritato riposo dopo l’estenuante giornata, ma con tutta l’intenzione di mettersi al lavoro di buona lena l’indomani mattina e con la convinzione:
“ca po ngi mittimu ca ngi mittimu...“